Secondo l’ARAN, con il parere n. 126 del 17 febbraio 2025, la giurisprudenza – in linea con quanto affermato dalla Corte di Cassazione – chiarisce che la frequenza ai corsi si riferisce esclusivamente alla partecipazione alle lezioni coincidenti con l’orario di servizio. Non sono quindi inclusi nel permesso lo studio individuale o altre attività complementari. Questo principio è ribadito anche nelle sentenze n. 10344 del 2008 e n. 17128 del 2013 della Sezione Lavoro della Cassazione.
L’ampia diffusione delle università telematiche ha portato alla necessità di chiarimenti normativi, forniti anche dalla circolare n. 12 del 2011 del Dipartimento della Funzione Pubblica. Questa specifica che, sebbene i dipendenti pubblici abbiano il diritto di accedere a percorsi formativi online, il riconoscimento dei permessi studio avviene solo a determinate condizioni.
Per beneficiare dei permessi, il personale deve presentare documentazione ufficiale relativa all’iscrizione, agli esami sostenuti e, soprattutto, all’effettiva partecipazione alle lezioni. Per i corsi asincroni, la giurisprudenza stabilisce che il dipendente può fruire dei permessi solo se dimostra di aver seguito le lezioni in orari coincidenti con il servizio. La Corte dei Conti Sicilia, con la sentenza n. 171/2015, ha confermato questa interpretazione, evidenziando come la fruizione dei permessi sia strettamente subordinata alla prova della partecipazione effettiva durante l’orario lavorativo.
Il quadro normativo relativo ai permessi studio per il personale scolastico è chiaro: il diritto alla formazione è garantito, ma deve essere bilanciato con le esigenze organizzative dell’amministrazione. In particolare, nel caso delle università telematiche, è essenziale rispettare i requisiti di frequenza effettiva per poter usufruire dei permessi retribuiti.