Tuttavia, per i giudici del TAR, le cose sono andate diversamente. Durante il primo quadrimestre dell’anno scolastico, il ragazzo aveva ottenuto voti insufficienti in alcune materie, ma la scuola aveva predisposto modalità di recupero, tra cui lo studio individuale e corsi con docenti. Nonostante gli sforzi, le verifiche di recupero nel secondo quadrimestre non avevano portato a miglioramenti significativi. Il consiglio di classe, quindi, aveva deciso all’unanimità di non ammettere lo studente al terzo anno, considerando che la situazione scolastica era peggiorata durante l’anno.
Il TAR ha respinto le accuse dei genitori, dichiarando il ricorso “inammissibile e infondato“. I giudici hanno sottolineato che le richieste dei genitori avrebbero comportato una sorta di indagine penale sul comportamento degli insegnanti, cosa che non è compatibile con un ricorso amministrativo. Inoltre, il giudice ha ribadito che la scuola aveva agito correttamente nel fornire al ragazzo tutte le possibilità per recuperare e che la bocciatura era stata una decisione legittima, fondata su criteri oggettivi.
La sentenza del TAR evidenzia un aspetto cruciale: la bocciatura, quando motivata da carenze documentate nel rendimento scolastico, rientra nelle prerogative dell’istituto scolastico. Sebbene il caso abbia sollevato un dibattito sull’autonomia delle scuole nel giudicare i propri studenti, la decisione del tribunale conferma che un dialogo costruttivo tra famiglie e docenti rimane la via migliore per risolvere le problematiche educative. La condanna della famiglia a pagare 2.000 euro in spese legali rappresenta un monito per chi tenta di contestare le decisioni scolastiche attraverso il ricorso alle vie legali senza prove concrete di irregolarità o negligenza.