Tra i beneficiari di questa nuova misura ci sarebbero 18 membri del governo, di cui 8 ministri non eletti, tra questi: Andrea Abodi (Sport), Marina Calderone (Lavoro), Guido Crosetto (Difesa), Matteo Piantedosi (Interno) e Giuseppe Valditara (Istruzione). Complessivamente, questa modifica comporterà un esborso annuale di circa 3 milioni di euro, a fronte di un bilancio statale di quasi 10 miliardi per il 2025.
L’obiettivo dichiarato dell’emendamento è garantire uguaglianza retributiva tra tutti i membri del governo, eliminando disparità tra chi è stato eletto e chi no. Tuttavia, la proposta ha suscitato polemiche e critiche, soprattutto da parte dell’opposizione. Molti esponenti politici ritengono inopportuno introdurre un aumento di stipendio in un momento di difficoltà economica per molte famiglie italiane, accusando il governo di mancanza di sensibilità verso i cittadini.
Nonostante ciò, l’impatto di questa misura sulla spesa pubblica complessiva è considerato minimo, soprattutto se confrontato con l’intera manovra finanziaria. La somma totale necessaria per coprire l’aumento, pari a 260mila euro al mese, rappresenta una frazione trascurabile rispetto agli altri interventi previsti dalla Legge di Bilancio prossima all’approvazione.
Un ministro eletto in parlamento riceve lo stipendio da deputato o senatore, che si compone di tre principali voci:
In totale, lo stipendio netto di un ministro parlamentare supera i 12mila euro mensili, ai quali si aggiungono ulteriori rimborsi per trasporti e spese telefoniche. Al contrario, i ministri e sottosegretari non eletti ricevono attualmente solo l’indennità parlamentare, risultando retribuiti meno della metà rispetto ai colleghi eletti. L’emendamento, dunque, punta ad eliminare questa differenza, equiparando gli stipendi a prescindere dall’elezione in parlamento.
Perché questa modifica diventi effettiva, sarà necessario attendere l’approvazione definitiva della Legge di Bilancio, prevista entro la fine dell’anno. Sebbene l’emendamento potrebbe essere ritirato o modificato, gli osservatori ritengono improbabile un cambiamento. Le opposizioni hanno colto l’occasione per criticare aspramente la misura, accusando il governo di privilegiare una classe politica già percepita come troppo retribuita. I sostenitori, invece, difendono l’emendamento sostenendo che uniformare le retribuzioni all’interno dell’esecutivo è una questione di equità e che l’impatto economico complessivo è marginale.
In definitiva, il dibattito su questo aumento di stipendio riflette una tensione più ampia sul rapporto tra classe politica e cittadini, soprattutto in un periodo in cui i temi di contenimento della spesa pubblica e il sostegno alle famiglie sono al centro dell’agenda politica. Resta da vedere se questa modifica verrà percepita come un necessario adeguamento o come un ulteriore motivo di disaffezione verso le istituzioni.