I magistrati toscani sostengono che la pensione dovrebbe rappresentare un riconoscimento meritato per il lavoro svolto e non un privilegio sacrificabile, anche in nome dell’equità intergenerazionale. Il principio di proporzionalità della retribuzione, secondo la Corte, deve applicarsi anche ai pensionati per tutelare la loro dignità economica post-lavorativa.
La legge di bilancio del 2023 ha ridotto l’indicizzazione per le pensioni superiori a quattro volte il minimo INPS. Il comma 309 della legge 197/2023 stabilisce una perequazione piena solo fino a quattro volte il minimo, mentre per importi superiori scatta una riduzione progressiva. L’indice di rivalutazione scende all’85% per pensioni tra quattro e cinque volte il minimo, al 53% tra cinque e sei volte, al 47% tra sei e otto volte e così via, fino al 32% per le pensioni superiori a dieci volte il minimo.
Nel 2023, l’aumento massimo è stato del 7,3%, mentre le pensioni penalizzate (oltre dieci volte il minimo) hanno visto un aumento solo del 2,3%. La Manovra 2024 ha ulteriormente ridotto queste percentuali, facendo scendere la rivalutazione al 23% per le pensioni più alte.
Entro il 31 dicembre 2024 scadranno i tagli previsti per il biennio 2023-2024. In assenza di nuove misure, dal 2025 tornerebbe il sistema di rivalutazione piena per le pensioni fino a quattro volte il minimo, come stabilito dalla legge 448/1998.
Tuttavia, le simulazioni indicano che l’inflazione rallenterà drasticamente, e quindi anche gli aumenti saranno inferiori. Per il 2025 si prevede una rivalutazione dell’1,6% per le pensioni minime, che aumenterebbero di circa 9,57 euro.
Le pensioni superiori a dieci volte il minimo potrebbero subire un ulteriore taglio, con un aumento stimato dello 0,44%. Un eventuale blocco della perequazione rischierebbe addirittura di azzerare completamente l’incremento.
La Corte Costituzionale aveva già bocciato, con la sentenza 70/2015, i tagli operati dalla riforma Fornero del 2011. Quella riduzione delle rivalutazioni era ancora più severa rispetto a quelle attuate nel 2023 e colpiva le pensioni superiori a tre volte il minimo. Il tribunale aveva dichiarato incostituzionale il provvedimento, poiché violava i principi di proporzionalità e adeguatezza previsti dagli articoli 36 e 38 della Costituzione.
Dopo quella sentenza, il Governo aveva emesso il decreto legge 65/2015, che prevedeva un rimborso parziale per i pensionati, basato su nuove aliquote.
Il taglio dell’indicizzazione delle pensioni per il 2023 e il 2024 è ora nuovamente al centro del dibattito, e si attende il verdetto della Corte Costituzionale per capire se verranno riconosciuti eventuali rimborsi. Nel frattempo, le decisioni sulla Manovra 2025 determineranno l’andamento delle rivalutazioni pensionistiche nei prossimi anni.