Il futuro delle pensioni in Italia appare sempre più incerto. Con il passaggio definitivo al sistema contributivo, gli importi degli assegni previdenziali rischiano di ridursi drasticamente. Secondo il XXI Rapporto annuale dell’INPS, chi è nato tra il 1965 e il 1980 potrebbe percepire un assegno medio di appena 750 euro al mese. Questa previsione si basa su un reddito di 9 euro l’ora e un versamento di 30 anni di contributi. Chi ha guadagnato meno o ha versato meno contributi dovrà prepararsi a un assegno pensionistico ancora più basso.
Le cause del problema: stipendi bassi e precariato
L’introduzione del sistema contributivo ha ridotto gli importi delle pensioni rispetto al vecchio metodo retributivo. Tuttavia, la vera emergenza riguarda il mondo del lavoro. In Italia, milioni di lavoratori percepiscono stipendi tra i più bassi d’Europa, e molti contratti risultano precari o a tempo determinato. Secondo i dati INPS, 4,8 milioni di pensionati ricevono meno di 1.000 euro al mese, e un terzo dei lavoratori attuali guadagna meno di tale cifra. Senza interventi strutturali, il problema delle pensioni basse potrebbe aggravarsi ulteriormente nei prossimi decenni.
Previdenza complementare e possibili soluzioni
Per fronteggiare questa situazione, molti esperti consigliano di investire in un fondo di previdenza complementare, così da garantirsi una seconda entrata una volta in pensione. La Legge di Bilancio 2025 ha introdotto la possibilità di anticipare la pensione utilizzando parte della rendita integrativa. Tuttavia, senza un aumento degli stipendi e una maggiore stabilità lavorativa, la previdenza complementare potrebbe non bastare a colmare il divario.
Riforme e interventi necessari
L’ex presidente dell’INPS, Pasquale Tridico, ha più volte sottolineato la necessità di una maggiore flessibilità nel sistema pensionistico, specialmente per chi ha carriere discontinue o precarie. L’OCSE ha posizionato l’Italia tra gli ultimi posti per crescita dei salari medi reali, con una perdita del 7% rispetto ai livelli pre-pandemia. Se lo Stato non interverrà con riforme strutturali, il futuro previdenziale dei giovani di oggi rischia di essere ancora più drammatico di quanto stimato dall’INPS.
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