Per i dipendenti pubblici, l’obbligo di andare in pensione a 67 anni verrà superato, permettendo a chi lo desidera di restare al lavoro oltre questa soglia.
L’obiettivo è trattenere le risorse con elevato know-how all’interno della Pubblica Amministrazione. Incentivi alla permanenza nel mercato del lavoro verranno studiati anche per i lavoratori privati.
Il recente rapporto dell’INPS ha evidenziato un eccesso di pensionamenti anticipati rispetto ai 67 anni richiesti per la pensione di vecchiaia. Queste uscite rappresentano ormai metà della spesa pensionistica e rischiano di mettere a rischio l’equilibrio finanziario del sistema a medio-lungo termine.
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha condiviso queste preoccupazioni con i sindacati, sottolineando come il declino demografico aggravi ulteriormente la situazione.
Le richieste di Forza Italia per un aumento delle pensioni minime non troveranno ampio spazio, date le scarse risorse a disposizione.
L’unico margine di miglioramento potrebbe riguardare l’indicizzazione delle pensioni. Con la manovra 2023, il governo Meloni aveva tagliato l’adeguamento per gli assegni superiori a quattro volte il minimo, riducendo le rivalutazioni.
L’attuale meccanismo di perequazione scadrà il 31 dicembre 2024. Senza interventi, si tornerà al sistema standard che prevede una rivalutazione del 100% fino a quattro volte il minimo, del 90% tra quattro e cinque volte, e del 75% per importi superiori.
Anche se la perequazione fosse riportata al 100% per tutti, gli aumenti delle pensioni sarebbero minimi, poiché l’inflazione è scesa dall’8% del 2022 all’1,5% attuale. Tuttavia, il rischio rimane: se il Parlamento approvasse nuove misure di spesa, come l’aumento delle pensioni minime, il Tesoro potrebbe chiedere di finanziare tali interventi con risorse già destinate alla previdenza, riducendo ulteriormente la perequazione.
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