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John Florio: il ponte tra Dante e Shakespeare in una nuova ricerca universitaria

Una ricerca dell'Università dell'Insubria rivela connessioni tra Dante e Shakespeare, ipotizzando un ruolo chiave di John Florio nella scrittura teatrale.

John Florio

Una rara edizione del 1564 della Divina Commedia, recentemente rinvenuta presso la British Library, ha aperto nuove prospettive sul dibattito riguardante l’attribuzione delle opere di William Shakespeare. La scoperta, analizzata dalla ricercatrice Marianna Iannaccone dell’Università dell’Insubria, mostra annotazioni che potrebbero appartenere a John Florio, intellettuale italo-britannico noto per il suo contributo alla letteratura elisabettiana.

Le annotazioni di John Florio e il collegamento con Shakespeare

L’esemplare esaminato presenta sottolineature e appunti che rimandano alla mano di John Florio, celebre traduttore del Decameron e dei Saggi di Montaigne. Florio è stato spesso indicato come possibile collaboratore o autore ombra delle opere shakespeariane. Secondo gli scrittori Monaldi & Sorti, che da anni studiano i legami tra Dante e il teatro elisabettiano, la presenza di riferimenti danteschi nelle note di Florio e il loro parallelo nei testi teatrali di Shakespeare rafforzano l’ipotesi di un suo coinvolgimento nella scrittura delle opere.

Temi condivisi tra Dante e Shakespeare

Monaldi & Sorti, autori della trilogia Dante di Shakespeare (Solferino, 2021-2024), hanno individuato similitudini narrative e tematiche tra le due tradizioni letterarie. Un caso emblematico riguarda Enrico IV, in cui i sentimenti del protagonista riecheggiano quelli espressi da Dante per Guido Cavalcanti nel Purgatorio XI. Questa somiglianza suggerisce una comune sensibilità nella caratterizzazione psicologica dei personaggi.

Lessico e neologismi: il caso di “incielare”

Oltre ai parallelismi narrativi, la ricerca ha evidenziato coincidenze linguistiche. Un esempio significativo è il verbo “incielare”, coniato da Dante, che compare tra le annotazioni di Florio e viene riproposto da Shakespeare con la forma “ensky” in Measure for Measure. Questi elementi linguistici potrebbero indicare un filo conduttore tra l’opera del poeta fiorentino e il teatro elisabettiano.

Un’autorialità condivisa?

Monaldi & Sorti suggeriscono di estendere l’indagine ad altri intellettuali dell’epoca in possesso di edizioni della Commedia. Tra i nomi presi in considerazione vi sono Christopher Marlowe, Francis Bacon, Philip Sidney ed Edward de Vere. A differenza di William di Stratford, questi autori possedevano una solida formazione classica e avevano accesso diretto alla letteratura italiana. Particolarmente rilevante è il caso di Marlowe, che nel Doctor Faustus riprende elementi dell’Inferno dantesco, rafforzando i sospetti sul suo contributo alle opere shakespeariane.

Il dibattito sull’identità di Shakespeare e il ruolo di John Florio

Il ritrovamento dell’edizione annotata della Commedia offre una nuova prospettiva filologica sulle influenze letterarie dell’epoca. John Florio, figlio di un intellettuale siciliano esiliato per motivi religiosi, è una delle figure chiave del dibattito sull’identità di Shakespeare. Secondo alcuni studiosi, la sua collaborazione con William di Stratford sarebbe stata favorita dalla protezione del conte di Southampton, permettendo un sodalizio letterario in cui Florio avrebbe avuto un ruolo determinante nella stesura dei testi teatrali.

Le competenze necessarie alla scrittura delle opere teatrali

Un elemento centrale dell’ipotesi pro-Florio riguarda l’ampiezza delle sue conoscenze culturali. Secondo i sostenitori di questa teoria, sarebbe improbabile che un attore con un’alfabetizzazione limitata potesse rappresentare con precisione i contesti italiani di Otello, Romeo e Giulietta e Il mercante di Venezia. Il tema è stato affrontato da scrittori come Mark Twain e Charles Dickens, oltre che da studiosi moderni come Saul Gerevini, Corrado Panzieri e Giulia Harding.

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