La decisione ha incontrato una dura opposizione. Massimo Arcangeli, docente di Linguistica all’Università di Cagliari, ha definito le ispezioni un “attacco senza precedenti” all’autonomia universitaria, richiamando l’articolo 33 della Costituzione e l’articolo 6 della Legge 9 maggio 1989, che garantiscono la libertà di insegnamento e ricerca. Secondo Arcangeli, includere testi controversi in una bibliografia non implica l’adesione ai messaggi in essi contenuti, ma piuttosto offre l’opportunità di discutere criticamente tali contenuti.
Anche l’onorevole Gilda Sportiello (Movimento 5 Stelle) ha presentato un’interrogazione parlamentare contro quella che definisce un’ingerenza ministeriale, evidenziando il rischio di strumentalizzazione politica dell’istruzione universitaria.
Il ministero ha cercato di placare le polemiche affermando che, nella risposta all’interrogazione di Sasso, non è stata menzionata esplicitamente l’autorizzazione a ispezioni. Tuttavia, le dichiarazioni della ministra Bernini sull’equilibrio tra libertà accademica e altri valori costituzionali lasciano aperta la possibilità di interventi futuri.
La vicenda solleva interrogativi cruciali sul futuro dell’autonomia accademica in Italia. L’università, da sempre un luogo di confronto e dibattito, rischia di vedere ridotta la propria libertà decisionale e scientifica. Includere testi complessi e controversi nei programmi di studio è parte integrante della missione accademica, che mira a formare studenti critici e consapevoli.
In un clima di crescente polarizzazione politica, il caso delle ispezioni anti-gender rappresenta un banco di prova per i principi fondamentali dell’università italiana. Il dibattito continuerà a svilupparsi nei prossimi mesi, determinando non solo il destino di questi specifici corsi, ma anche il grado di autonomia che l’università italiana potrà mantenere nel futuro.