Un aspetto ancora più critico riguarda il crescente numero di precari nel sistema universitario. Attualmente, sono oltre 30.000, di cui il 75% assegnisti, con una retribuzione media di 25.000 euro lordi all’anno. Il disegno di legge 1240, proposto dal governo, puntava a mantenere forme contrattuali precarie con tutele minime, ma è stato momentaneamente bloccato grazie alle proteste di sindacati e ricercatori. Tuttavia, resta aperto il dibattito sulla necessità di un piano strutturale per la stabilizzazione del personale precario.
La CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) ha espresso il proprio sostegno alla riforma del Ddl 1240, accogliendo l’idea di una maggiore flessibilità nel pre-ruolo universitario. Tuttavia, questa “flessibilità” rischia di tradursi in un ulteriore sfruttamento del personale accademico, penalizzando i giovani ricercatori e incentivando la fuga di talenti all’estero. La questione centrale rimane: quale futuro si vuole per l’università italiana? Un sistema basato su precarietà e contratti a tempo o un modello che garantisca investimenti adeguati, stabilizzazione del personale e valorizzazione della ricerca?
Di fronte a questa situazione, i sindacati e le associazioni accademiche continuano a chiedere un piano straordinario per la stabilizzazione del personale universitario, con l’obiettivo di aumentare gli investimenti e ridurre il precariato. Non servono record propagandistici, ma politiche concrete che garantiscano un futuro sostenibile per l’università pubblica italiana, nel rispetto dei diritti di chi ci lavora e di chi vi studia.