La Ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, ha recentemente annunciato con entusiasmo un aumento del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) delle università per il 2025. Tuttavia, un’analisi approfondita dei numeri rivela una realtà ben diversa.
I numeri reali del FFO
Nel 2023, il FFO ammontava a 9,2 miliardi di euro, mentre il governo precedente aveva già previsto un incremento di 340 milioni per il 2024 e ulteriori 50 milioni per il 2025 e il 2026. Questi fondi avrebbero dovuto finanziare un piano straordinario per l’assunzione di 8.000 docenti e 5.000 tecnici, amministrativi e bibliotecari, compensando in parte i tagli subiti negli anni precedenti.
Incremento FFO Università 2025? In realtà si tratta di un taglio mascherato di 600 milioni di euro
Secondo le previsioni della legge di bilancio 2022, il FFO avrebbe dovuto raggiungere i 9,5 miliardi nel 2024 e 9,6 miliardi nel 2025. Tuttavia, il fondo del 2024 è stato ridotto a 9 miliardi, mentre per il 2025 si annunciano 9,3 miliardi, ben al di sotto di quanto già previsto dalla normativa esistente. Questo significa un taglio effettivo di oltre 600 milioni di euro in due anni. Inoltre, non vengono recuperati i 170 milioni di euro di spese correnti tagliati nel 2023, lasciando gli atenei con risorse insufficienti per coprire l’aumento degli stipendi del personale e l’inflazione.
La precarietà dilagante nell’università italiana
Un aspetto ancora più critico riguarda il crescente numero di precari nel sistema universitario. Attualmente, sono oltre 30.000, di cui il 75% assegnisti, con una retribuzione media di 25.000 euro lordi all’anno. Il disegno di legge 1240, proposto dal governo, puntava a mantenere forme contrattuali precarie con tutele minime, ma è stato momentaneamente bloccato grazie alle proteste di sindacati e ricercatori. Tuttavia, resta aperto il dibattito sulla necessità di un piano strutturale per la stabilizzazione del personale precario.
La “flessibilità” delle università: una questione di priorità
La CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) ha espresso il proprio sostegno alla riforma del Ddl 1240, accogliendo l’idea di una maggiore flessibilità nel pre-ruolo universitario. Tuttavia, questa “flessibilità” rischia di tradursi in un ulteriore sfruttamento del personale accademico, penalizzando i giovani ricercatori e incentivando la fuga di talenti all’estero. La questione centrale rimane: quale futuro si vuole per l’università italiana? Un sistema basato su precarietà e contratti a tempo o un modello che garantisca investimenti adeguati, stabilizzazione del personale e valorizzazione della ricerca?
Le richieste (inascoltate) dei sindacati relative al piano straordinario di stabilizzazione del personale universitario
Di fronte a questa situazione, i sindacati e le associazioni accademiche continuano a chiedere un piano straordinario per la stabilizzazione del personale universitario, con l’obiettivo di aumentare gli investimenti e ridurre il precariato. Non servono record propagandistici, ma politiche concrete che garantiscano un futuro sostenibile per l’università pubblica italiana, nel rispetto dei diritti di chi ci lavora e di chi vi studia.
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