Risolvere il problema delle supplenze nel settore scolastico in Italia è una sfida complessa che non si limita solo al mondo dei docenti, ma coinvolge anche il personale ATA (Amministrativo, Tecnico e Ausiliario).
L’elevato numero di supplenze, particolarmente evidente tra il personale ATA, solleva preoccupazioni significative nel mondo della scuola. Un dato allarmante rivela che due terzi dei supplenti ATA sono donne, evidenziando una disparità di genere anche in questo settore.
Insufficienti e inefficaci i Concorsi tradizionali con le graduatorie: è fallita anche la politica del turnover
La soluzione tradizionale dei concorsi scolastici si è dimostrata insufficiente per affrontare questo problema. Invece di concorsi classici, il personale ATA viene inserito in graduatorie, ma questa pratica non ha portato a una soluzione efficace. L’aumento di 6.662 unità nel numero di ATA precari che hanno accettato supplenze annuali o fino al termine delle lezioni, rispetto all’anno precedente, sottolinea l’urgenza di rivedere il sistema di reclutamento.
La politica di copertura del turnover, che si è concentrata sulla sostituzione dei pensionati, si è rivelata inadeguata di fronte all’aumento della domanda di personale. Secondo Anief, questa situazione riflette il fallimento del sistema di reclutamento, simile a quello che affligge il mondo dei docenti.
Proposta di immissione in ruolo dei precari (docenti e Personale ATA) su tutti i posti vacanti
La proposta per affrontare questa situazione è radicale ma necessaria: immettere in ruolo il personale ATA su tutti i posti vacanti. Questa misura non solo contribuirebbe a stabilizzare la forza lavoro, ma anche ad esaurire le graduatorie pre-ruolo, dove alcuni precari attendono fino a dieci anni per ottenere un ruolo fisso.
Per i docenti, la soluzione potrebbe essere il ripristino di un doppio canale di reclutamento, un approccio che potrebbe contribuire a ridurre il numero di supplenti, che, sommando insegnanti e personale ATA, raggiunge quasi 300.000 annualmente.
Questo approccio non solo migliorerebbe la qualità dell’istruzione offrendo una maggiore stabilità ai lavoratori del settore, ma risponderebbe anche alla crescente necessità di personale qualificato nelle scuole italiane, promuovendo un ambiente di lavoro più equo e inclusivo.
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