Se il lavoratore non sceglie attivamente il comparto d’investimento, il TFR verrà destinato alle linee più prudenti. Queste linee, sebbene riducano il rischio di perdite, offrono rendimenti bassi, spesso inferiori alla rivalutazione del TFR lasciato in azienda.
Il TFR aziendale beneficia di un meccanismo di rivalutazione legato all’inflazione e a un tasso fisso, il che lo rende più vantaggioso in molti casi.
Negli ultimi anni, il Trattamento di fine rapporto lasciato in azienda ha mostrato una rivalutazione superiore rispetto ai comparti più conservativi dei fondi pensione, in particolare quelli assegnati tramite il meccanismo del silenzio-assenso. La COVIP, nella sua ultima relazione, ha evidenziato che le linee d’investimento più dinamiche dei fondi pensione hanno ottenuto rendimenti medi annui tra il 4,2% e il 4,5%. Al contrario, le linee più conservative hanno registrato rendimenti vicini allo zero, non riuscendo a competere con il 2,5% di rivalutazione del TFR accantonato in azienda.
Sebbene la riforma proposta dal governo miri a migliorare la situazione previdenziale, la scelta del comparto d’investimento può rappresentare un rischio per i lavoratori. I vantaggi fiscali di trasferire il TFR in un fondo pensione non bastano da soli: occorre scegliere attentamente il fondo più adatto alle proprie esigenze. La scelta non è definitiva e richiede una costante revisione nel tempo.
Una strategia di investimento efficace deve tenere conto dell’età e degli obiettivi finanziari del lavoratore. I più giovani possono beneficiare di linee più aggressive per massimizzare la crescita nel lungo periodo, mentre avvicinandosi all’età pensionabile conviene ridurre gradualmente l‘esposizione al rischio.