Dall’altro lato, alcune figure professionali potranno integrare l’IA senza esserne sostituite: tra queste rientrano dirigenti finanziari, notai, avvocati, magistrati, specialisti in sistemi economici, psicologi e archeologi. Secondo Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, questi dati indicano la necessità di un cambio di paradigma, con l’IA al servizio del lavoratore e non viceversa.
Il livello di istruzione gioca un ruolo chiave nel grado di esposizione al cambiamento portato dall’IA. Il 54% dei lavoratori ad alto rischio di sostituzione possiede un diploma superiore, mentre il 33% ha una laurea. Viceversa, tra coloro che integreranno l’IA senza esserne sostituiti, il 59% è laureato. Questo fenomeno impatta in misura maggiore le donne, che rappresentano il 54% dei lavoratori a rischio sostituzione e il 57% di quelli ad alta complementarità con l’IA. Di conseguenza, il divario di genere nel mercato del lavoro rischia di ampliarsi ulteriormente.
Nel 2024, solo l’8,2% delle imprese italiane ha adottato strumenti di IA, contro una media UE del 13,5%. Paesi come Germania (19,7%), Spagna (11,3%) e Francia (9,91%) risultano più avanzati. Il ritardo è evidente soprattutto nei settori commerciale e manifatturiero, dove l’Italia registra livelli di adozione inferiori alla media europea.
Gli investimenti in ricerca e sviluppo confermano questo trend: l’Italia destina appena l’1,33% del PIL, rispetto alla media UE del 2,33%, con l’obiettivo comunitario di raggiungere il 3% entro il 2030. La Germania ha già superato questa soglia con un 3,15%, mentre la Francia si attesta al 2,18%. La prevalenza di microimprese e PMI nel sistema produttivo italiano rappresenta un ulteriore freno agli investimenti nel settore.
Le previsioni per il 2030 stimano che circa il 27% delle ore lavorate in Europa verrà automatizzato, con i settori più esposti rappresentati da ristorazione (37%), supporto d’ufficio (36,6%) e produzione (36%). Al contrario, settori come sanità e management subiranno un impatto minore.
Secondo il Censis, il 20-25% dei lavoratori utilizza già strumenti di IA sul posto di lavoro, principalmente per scrittura di e-mail (23,3%), messaggi (24,6%), stesura di rapporti (25%) e creazione di CV (18,5%). L’utilizzo è più diffuso tra i giovani, con il 35,8% dei lavoratori tra i 18 e i 34 anni che usa l’IA per i rapporti di lavoro, rispetto al 23,5% degli over 45.
L’Intelligenza Artificiale sta ridisegnando il mercato del lavoro italiano, con un impatto significativo su milioni di occupati. Il rischio di sostituzione è maggiore per le professioni altamente automatizzabili e per le categorie con istruzione superiore, con effetti più accentuati sulle donne.
Tuttavia, se integrata correttamente, l’IA può rappresentare un’opportunità per aumentare la produttività e la competitività del sistema economico. L’Italia deve accelerare gli investimenti in ricerca, sviluppo e formazione per colmare il divario con gli altri paesi europei e garantire una transizione equa nel mondo del lavoro.