Attualmente, il pagamento del Tfs per i dipendenti pubblici avviene:
Questa situazione crea una profonda disparità rispetto ai lavoratori del settore privato, che ricevono il Trattamento di fine rapporto (Tfr) entro tre mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro.
La Corte costituzionale, con la sentenza 130/2023, ha dichiarato incostituzionale il differimento del Tfs, sostenendo che viola il principio della giusta retribuzione, poiché la liquidazione rappresenta una parte integrante del trattamento economico del lavoratore. Inoltre, la rateizzazione aggrava ulteriormente il danno.
I sindacati sottolineano che la carenza di organico e le inefficienze dell’Inps contribuiscono ad allungare i tempi di pagamento, arrivando a superare i 15 mesi per chi ha aderito a fondi di previdenza complementare. Per questo, circa 50.000 lavoratori hanno firmato una petizione per chiedere una riforma immediata e il superamento di una situazione discriminatoria che penalizza i dipendenti pubblici.
Per garantire ai lavoratori pubblici di ricevere il Tfs entro tre mesi, come avviene per il Tfr nel settore privato, sarebbero necessari 3,8 miliardi di euro. Tuttavia, il reperimento delle risorse resta il principale ostacolo. Secondo il presidente della commissione Lavoro della Camera, Walter Rizzetto (FdI), nei prossimi mesi potrebbero arrivare alcune risposte, anche se non definitive. L’opposizione, con il deputato Alfonso Colucci (M5s) e il capogruppo Pd in commissione Lavoro Arturo Scotto, sollecita un intervento legislativo urgente per dare attuazione alla sentenza della Corte costituzionale e ridurre i tempi di pagamento a tre mesi. Anche il Civ dell’Inps riconosce la necessità di porre fine a questa discriminazione economica.
L’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni, previsto dalla legge di Bilancio 2025, peggiorerà ulteriormente la situazione, posticipando ancora i tempi di pagamento per 76.300 lavoratori pubblici. Nel decennio 2025-2034, ciò comporterà un risparmio per lo Stato di 339 milioni di euro, ma a scapito dei dipendenti pubblici, che dovranno attendere ancora più a lungo per ottenere quanto loro spetta.