Almeno un’attività formativa su 5 da svolgere in presenza, portare a uno su due il rapporto docente/classe di studenti, esami da sostenersi esclusivamente in presenza – salvo casi eccezionali –, corsi accreditabili come “in presenza” solo se effettivamente svolti con tale modalità.
Sono queste alcune principali novità che potrebbe prevedere il nuovo decreto ministeriale sulle Università Telematiche che stanno elaborando il CUN (Consiglio Universitario Nazionale) e l’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca), di concerto con il Ministero dell’università e della Ricerca, con l’intento di farlo entrare in vigore ipoteticamente dal prossimo anno accademico.
“La nuova legge nasce probabilmente con l’intento di trovare un equilibrio tra università telematiche e tradizionali. Ma per quanto sia giusta e auspicabile una migliore regolamentazione del settore, le novità previste dal decreto non aiuteranno il mondo dell’istruzione universitaria nella sua interezza”.
A commentare il decreto e a fare il punto sulla situazione delle università telematiche è Matteo Monari, fondatore di AteneiOnLine , servizio di orientamento didattico post-diploma a distanza.
Il mondo dell’istruzione ha subìto notevoli cambiamenti a causa della pandemia di Covid-19, che ha imposto il distanziamento sociale e modifiche significative nel settore educativo. In questo contesto le università telematiche – che non sono una realtà nuova in Italia – hanno visto una crescita significativa, suscitando dibattiti e polemiche legati principalmente alla paura che potessero abbassare la qualità dell’istruzione.
Anche prima della pandemia, gli esami delle università telematiche dovevano essere svolti in presenza, facilitati dalla presenza di numerose sedi distribuite in tutta Italia: post Covid, però, la maggior parte delle università telematiche ha continuato a offrire esami da remoto, per semplificare l’accesso agli studenti e abbattere ulteriormente le distanze.
“Normare l’istruzione online è essenziale per garantire qualità e accessibilità. Tuttavia – sottolinea Matteo Monari – la normativa dovrebbe concentrarsi sulla creazione di standard di qualità per i contenuti dei corsi, sull’assegnazione di crediti accademici, sulle modalità di valutazione degli studenti e soprattutto garantire che ad operare nel settore siano esclusivamente gli aventi diritto – cioè le 11 università telematiche riconosciute dal MUR. È cruciale anche affrontare temi come la protezione dei dati e l’accessibilità delle piattaforme utilizzate, assicurando che tutti gli studenti possano accedere alle opportunità di formazione a distanza. In questo modo, l’Italia potrebbe allinearsi ai principali Paesi europei in materia di formazione universitaria a distanza”.
“La normativa tenta di mantenere vivo il concetto di ‘presenza’ in tempo reale, che tuttavia non si adatta alla natura delle università telematiche. È fondamentale comprendere che le modalità didattiche delle università telematiche e di quelle tradizionali non sono e non possono essere le medesime, non in termini di qualità della formazione offerta, ma per la natura stessa della modalità di accesso all’istruzione e del conseguente approccio didattico e valutativo. La possibilità di accedere alle lezioni in maniera asincrona è uno dei principali vantaggi dell’e-Learning che nel tempo ha contribuito al successo delle università telematiche, specialmente per coloro che, per motivi lavorativi o familiari, non possono seguire lezioni dal vivo. Lo stesso vale per l’obbligo di sostenere gli esami in presenza”.
Una differenza importante, infatti, sta nella visione degli atenei: “L’università telematica – spiega Monari – ha da sempre messo al centro della propria attività lo studente, diversamente dalle università tradizionali che sono incentrate sull’Ateneo, inteso sia come corpo accademico che come sede fisica e presidio territoriale. Lo dimostra il fatto che nelle università telematiche l’intero sistema didattico sia progettato per essere flessibile e adattarsi alle esigenze individuali degli studenti, che possono seguire lezioni e sostenere esami in modalità asincrona, conciliando studio e vita personale, e avere un accesso continuo e immediato a risorse didattiche, tutor e docenti.
Al contrario, le università tradizionali sono spesso focalizzate sulla struttura dell’Ateneo, inteso sia come ente che come struttura fisica inserita in un determinato contesto territoriale, e sul corpo accademico. La didattica in presenza richiede la partecipazione fisica degli studenti, vincolandoli a orari e luoghi specifici nei quali l’Ateneo fisico ha il beneficio di integrarsi. Questo modello favorisce l’interazione diretta, la formazione di comunità accademiche fisiche e una maggiore integrazione tra Ateneo e tessuto sociale ed economico del territorio, ma può risultare meno accessibile per chi ha difficoltà a frequentare regolarmente le lezioni in sede. Inoltre, l’organizzazione accademica tradizionale tende necessariamente a essere meno flessibile, con orari di ricevimento limitati e risorse didattiche accessibili solo in determinati momenti”.
“La normativa applicherebbe delle regole basate sulle consuetudini della didattica in presenza, ma la formazione online richiede un approccio diverso. La qualità dell’insegnamento e l’attenzione agli studenti non si misurano solo attraverso il rapporto numerico tra docenti e discenti, ma anche attraverso la capacità di soddisfare le necessità degli studenti.
Ad esempio, mentre nelle università tradizionali il ‘ricevimento studenti’ avviene in presenza e in orari limitati, nelle università telematiche gli studenti possono interfacciarsi facilmente con tutor e docenti tramite la tecnologia interna alle piattaforme stesse, grazie a strumenti come videochiamate, chat e messaggistica interna”.
“Questo significa che lo studente, anche usufruendo della lezione in maniera asincrona (ovvero registrata da un professore che in tal modo raggiunge centinaia o migliaia di studenti in momenti diversi grazie a una sola registrazione) ha la possibilità di interfacciarsi prontamente e senza difficoltà con tutor didattici e corpo docente grazie, appunto, alla tecnologia. Proprio la tecnologia nelle università telematiche rappresenta il ponte tra studenti e docenti: videochiamate, scambi di messaggi e chat sono molto frequenti e i professori tendono di conseguenza ad essere molto più reattivi rispetto a quelli delle università tradizionali”.
“Con questa normativa l’Italia rischia di fare un passo indietro rispetto all’evoluzione delle tecnologie e delle modalità didattiche adottate nel resto d’Europa, dove altri Paesi invece stanno da tempo sviluppando ed evolvendo modelli di formazione universitaria a distanza che promuovono la flessibilità e l’accessibilità, mantenendo al contempo elevati standard di qualità”.
Ad esempio, nel Regno Unito, la Open University – prima università pubblica del paese per numero di iscritti – offre corsi interamente online, con un forte supporto tecnologico e didattico, permettendo agli studenti di studiare secondo i propri ritmi e disponibilità.
In Spagna, invece, le due più grandi università telematiche – l’Universidad Nacional de Educación a Distancia (UNED) e l’Universitat Oberta de Catalunya (UOC) – sono rispettivamente pubblica e a partecipazione pubblica: contano insieme più di 200.000 studenti, dimostrando come il settore pubblico possa sostenere efficacemente l’educazione a distanza.
“Questi modelli virtuosi dimostrano che è possibile coniugare qualità e flessibilità, e dovrebbero essere presi come riferimento per le riforme italiane nel settore dell’istruzione telematica”, conclude Matteo Monari, fondatore di AteneiOnline.