Questa distinzione lascia fuori un numero considerevole di donne che, pur essendo madri, non rientrano nella categoria prevista dalla legge, una discriminazione che risulta ancor più grave considerando che molte di queste lavoratrici hanno figli piccoli e non dispongono di uno stipendio fisso.
Il settore dell’istruzione, composto in gran parte da personale femminile, si distingue per la presenza significativa di insegnanti con contratti a tempo determinato. Molte di loro sono madri di bambini piccoli, ma il bonus mamme le esclude, creando una disparità che penalizza proprio chi, per ragioni economiche e familiari, avrebbe un maggior bisogno di supporto.
Tale discriminazione sembra ancor più ingiustificata alla luce del fatto che queste lavoratrici precarie affrontano situazioni lavorative meno sicure e tutele limitate rispetto alle loro colleghe con contratti a tempo indeterminato. Concedere loro il bonus sarebbe una scelta equa, volta a garantire il principio di uguaglianza, soprattutto nei settori come la scuola, dove la presenza di donne è predominante.
Recentemente, il Tribunale di Milano ha deciso di portare la questione all’attenzione della Corte Costituzionale, evidenziando una potenziale violazione dei principi di uguaglianza e tutela della famiglia. La richiesta di chiarimenti evidenzia come il bonus mamme potrebbe violare l’articolo 3 della Costituzione, che garantisce l’uguaglianza tra i cittadini, e l’articolo 31, che sancisce la protezione della famiglia.
Inoltre, la misura potrebbe non essere in linea con l’articolo 117 della Costituzione, che integra l’accordo quadro europeo sui contratti a termine, volto a evitare discriminazioni tra lavoratori. La Corte Costituzionale ora si trova chiamata a valutare l’equità di questa misura, considerando se tale esclusione si ponga in contrasto con i principi di pari opportunità e di sostegno alla famiglia, penalizzando le lavoratrici precarie nel momento di massimo bisogno.