L’autonomia differenziata rischia di amplificare le disuguaglianze già esistenti tra le diverse aree del Paese. Un bambino di Napoli, ad esempio, frequenta in media un anno di scuola in meno rispetto a un coetaneo di Milano, spesso senza mensa e tempo pieno. La regionalizzazione potrebbe acuire questo divario, creando scuole a diverse velocità e compromettendo l’accesso universale all’istruzione.
Con l’autonomia, le regioni acquisirebbero maggiore potere nella gestione della scuola. Ma quali saranno le conseguenze? Gianfranco Viesti, economista dell’Università di Bari, solleva interrogativi sul futuro dei concorsi e sulla mobilità dei docenti. Inoltre, la trattativa in corso tra governo e regioni, con una riforma che mette all’angolo il Parlamento, alimenta dubbi e incertezze.
L’autonomia differenziata potrebbe portare a un sistema scolastico a 20 velocità, con programmi piegati alle esigenze locali e rischi per l’unità culturale del Paese. La preside Lucia Bonaffino lancia un monito: “Bisognerà vigilare sull’equità. Altrimenti gli altri correranno, noi arrancheremo”. Un futuro incerto si profila all’orizzonte, con la scuola chiamata ad affrontare sfide cruciali per garantire un’istruzione equa e di qualità per tutti.
Il 28 giugno 2024 è entrata in vigore la legge sull’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. La proposta, fortemente voluta dal ministro Calderoli, mira a trasferire maggiori poteri decisionali e gestionali alle Regioni in ambiti chiave come istruzione, sanità, trasporti ed energia.
La legge prevede un iter complesso, che coinvolge sia il Governo che il Parlamento, per l’approvazione delle richieste di autonomia da parte delle Regioni. Fondamentale sarà la definizione dei LEP, che avverrà tramite decreti legislativi.