DDL Lavoro: salario minimo resta un’illusione, approvate le dimissioni in bianco

DDL Lavoro: respinto il salario minimo, approvata norma su dimissioni in bianco. Le opposizioni denunciano il rischio per i diritti dei lavoratori

salario minimo
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A un anno e mezzo dall’approvazione in Consiglio dei Ministri, il Disegno di Legge sul Lavoro (DDL Lavoro) è finalmente approdato in aula per la discussione finale. Tuttavia, i primi risultati non sono incoraggianti. I partiti di maggioranza hanno respinto, ancora una volta, un emendamento che proponeva l’introduzione in Italia del salario minimo.

Al contrario, è stata approvata senza alcuna opposizione una norma che “smonta” il Jobs Act del Governo Renzi, particolarmente nella parte riguardante le dimissioni in bianco e i licenziamenti mascherati da dimissioni del lavoratore.

DDL Lavoro: ancora stop al salario minimo

Il DDL sul lavoro era stato approvato in Consiglio dei Ministri il 1° maggio 2023. Solo ora, dopo un anno e mezzo, è iniziata in aula la discussione tra maggioranza e opposizioni. Uno degli emendamenti più controversi riguardava proprio l’introduzione del salario minimo.

Su questo punto, tutte le forze di opposizione, eccetto Italia Viva (che si è astenuta), hanno insistito compatte. Tuttavia, la maggioranza di centrodestra ha stroncato ogni speranza di approvazione.

Nonostante la sconfitta, il primo firmatario dell’emendamento sul salario minimo, Giuseppe Conte, ha ribadito l’impegno del suo partito e delle opposizioni: “Non ci arrenderemo mai”. Altri esponenti dell’opposizione, come Arturo Scotto (PD), Antonio D’Alessio (Azione), Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli (Avs), hanno accusato la maggioranza e il Governo di non fare nulla per migliorare la situazione salariale.

Attualmente, il salario minimo è adottato con successo dalla maggioranza dei Paesi dell’UE, con cifre che variano dai 542 euro mensili in Albania ai 1.883 euro in Germania. Diversi Paesi superano la soglia minima di 1.250 euro: Lussemburgo, Paesi Bassi, Francia, Belgio, Polonia, Irlanda, Slovenia e Spagna. L’esecutivo italiano, invece, non sembra intenzionato a garantire questa copertura vitale ai suoi lavoratori, dando priorità ad altri temi.

Il ritorno delle dimissioni in bianco

Durante la discussione sul DDL lavoro, la maggioranza ha approvato anche una norma controversa in materia di dimissioni. Il nuovo disegno di legge “smonta” una parte del Jobs Act introdotto dal Governo Renzi (con decreto legislativo n.151 del 2015), che fino a oggi contrastava il licenziamento mascherato da dimissioni volontarie del dipendente. Ora, l’esecutivo guidato da Meloni ha deciso di allargare le maglie per questi licenziamenti, in gran parte legati alle cosiddette “dimissioni in bianco”.

Questa scelta è poco comprensibile, in quanto colpirà principalmente le donne in maternità, contraddicendo le dichiarazioni del Governo che si dice a favore della natalità e dei diritti delle donne. Nella sua versione iniziale, l’articolo 19 del DDL lavoro stabiliva che “in caso di assenza ingiustificata protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a cinque giorni, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore”, comportando la perdita del diritto alla Naspi.

Le opposizioni si sono opposte a questa formulazione, ottenendo in commissione l’approvazione di una proposta di modifica che introduceva l’obbligo dell’ispettorato di verificare questa tipologia di dimissioni “in bianco”. Tuttavia, la maggioranza ha bocciato l’emendamento in aula, lasciando la questione aperta.

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